Voi magari non ci crederete, ma anche l’inferriata di un balcone può accarezzare e avvolgere lo spirito. Sinuosa, quasi sensuale, una curvacea domanda troppo affascinante forse per poterle rispondere. Lo stile Liberty, l’Art Noveau italiana, vive a Milano dinamico, sulle flessuose rientranze di piante d’acciaio, fiori in ferro battuto e palazzi di cotto opulento.
Tra fine ‘800 e inizio ‘900 Milano assiste a una reale esplosione della nuova corrente artistica, nelle discipline più varie: pittura, scultura, scrittura. Due però sono le dimensioni in cui il Liberty si estrinseca meglio per i vialoni della vecchia Mediolanum: architettura, e contro ogni pronostico, lavorazione del ferro battuto. E ancora oggi facciate e cancelli meritano una passeggiata, mentre se ne stanno là con una sana punta di altezzosità e strepitoso snobismo.
Il nostro itinerario Liberty raccoglie i palazzi e le case più rappresentative. È tutto serenamente visitabile, ma vi consigliamo di perdere qualche quarto d’ora in più semplicemente ad ammirare e passeggiare con calma davanti a ogni facciata. La missione del Liberty era in fondo questa, liberarsi dalle insoddisfazioni di una realtà industriale, per rifugiarsi nella bellezza leggera e in qualche modo profonda. Insomma, state sereni che ogni tanto va bene anche solo guardare e non fare nulla.
Giusto per cominciare con i toni bassi. Nel nord-ovest di Milano, in quello che è considerabile come un quartiere piuttosto nuovo come il Portello, oltre una cancellata austera si può scorgere una squisita villetta d’antan. Risale al 1914, e quarant’anni dopo le venne aggiunta la torretta oggi piuttosto identitaria.
La magia è però non solo architettonica: qui, in piena rivoluzione beat del ’68, i ragazzacci de Equipe 84 scelsero di stabilire il loro quartier generale. Erano anni di tumulto culturale e sociale, “la porta era sempre aperta”, come ha avuto modo di dire il leader Maurizio Vandelli dopo mezzo secolo, intervistato dal Corriere della Sera.
E che ci si creda o meno, è qui che lo stesso Vandelli parlò al telefono con Lou Reed, incontrò il manager di (e forse lo stesso) Andy Warhol, e soprattutto ospitò Jimi Hendrix, impegnato nella sua unica tournée italiana che era cominciata al Piper di Corso Sempione. Siamo nati troppo tardi.
Due formose signorine in bassorilievo vegliano sulla primo piano della facciata, altre si intravedono su ciascun livello. All’interno, uno stupendo corrimano in ferro battuto, che inizia sorprendentemente da una lampada. Costruita nel 1908, Casa Agostoni è uno degli esempi più classici di Liberty sobrio, che andava distaccandosi dagli orpelli e dagli eccessi tipici ad esempio della scuola austriaca: si parla di secessione viennese, appunto, per raccontare di come gli artisti di inizio Novecento decisero di rendersi autonomi dalle influenze precedenti.
Eretta nel 1905, è in realtà un esempio ben meno sfavillante di altri, ma quanto mai concreto nel suo stile classico e nei suoi balconi ammiccanti: tipici delle costruzioni lombarde, si vedono i mattoni rossi e i motivi floreali, che sono un po’ il filo rosso del Liberty nostrano. Contenuto bonus, se avete bisogno di vitamine o simili, sfaticati: la Farmacia Santa Teresa al piano terra, con arredi originali del 1910 (in linea con i tempi, potrebbero essere ancora disponibili le Zigulì o le Galatine, di fatto l’unico vero motivo per entrare in farmacia);
Più dandy di così si muore; e come spesso accadrà con il movimento Liberty, la vera maestosità è nei dettagli. Il pezzo pregiato, per quanto il mosaico che richiama il cielo stellato sulla facciata sia di bellezza evidente, è in realtà la cancellata: fu realizzata da un’autentica star dell’epoca, Alessandro Mazzuccotelli, mastro ferraio presenta praticamente ovunque nei palazzi di questo itinerario. Il Villino Maria Luisa (non si sa granché sull’origine del nome) risale al 1906, e pare colpì talmente i soldati tedeschi durante l’occupazione della Seconda Guerra Mondiale, da spingerli a dichiararlo intoccabile: si salvò anche dai saccheggiamenti di ferro, del quale il Reich necessitava costantemente.
Meno fiori, più linee eleganti e immediate: tre fasce verticali su cui si alternano mattoni in cotto e cemento, oltre all’immancabile ferro battuto. E poi il bellissimo intreccio con il mosaico al piano superiore. Casa Donzelli fu progettata nel 1903 dal buon Ulisse Stacchini, architetto e ingegnere di origine fiorentina, che qualche tempo dopo disegnò nientemeno che la Stazione Centrale e lo Stadio San Siro. Esistono, inoltre, altre due Casa Donzelli in città: chi ce ne segnala almeno una vince un giro al bar offerto da noi.
Prima di quella del 2015, che ha fatto da rampa di lancio per la Milano contemporanea, un’altra Expo prese vita qui: l’Esposizione del Sempione, o Esposizione Internazionale, nel 1906. Era il pieno dell’esplosione Liberty in Italia, e il Parco Sempione fu scelto come sede per i padiglioni principali. Uno di questi, l’unico a essere sopravvissuto allo smantellamento, e oggi restaurato, è l’Acquario Civico. Fu costruito grazie agli ingenti finanziamenti di Giuseppe Crivelli Serbelloni, e resistette, seppur danneggiato, ai bombardamenti del ’43.
Un gioiellino ricco di fregi maiolicati, statue, ghirigori e decorazioni, che dall’esterno incanta lo sguarda, e dentro nasconde un piccolo ma interessante percorso nell’idrografia italiana e straniera, con specie tropicali, sia vegetali che animali, da scoprire sotto una volta di vetro trasparente.
Uno dei primi (non il primo, che è più in basso!) esempi di Liberty a Milano. Fu costruita da Ernesto Pirovano, nome di grido dell’epoca e firma su numerosi palazzi eccellenti della città: risale al 1902, l’anno della vera esplosione dell’Art Nouveau in Italia, in occasione dell’Esposizione d’Arte Decorativa Contemporanea di Torino. Semplicità e bellezza tutte insieme, le decorazioni in cotto lasciano spazio a delle stupende inferriate (sì, sempre Mazuccotelli) con temi floreali di leggerezza inverosimile.
Accanto, al civico 7, si trova Casa Vanoni, simile per quanto più giovane e di genitore diverso: è del 1907 e fu progettata da Achille Manfredini, che disegnò tra le altre cose anche il Kursaal Diana di Porta Venezia. Nota di merito: il piano terra è riservato a un luogo storico del mangiarbere milanese, la gastronomia Peck. Chi non prende le aragostelle almeno una volta nella vita, non sa cosa perde.
Il capolavoro totale di Mazzuccotelli: se gli esterni sono nel complesso semplici (progetto del 1904 dell’architetto Giuseppe Borioli, per volere dell’ingegnere Moneta) e anzi quasi decadenti, è oltre il portone d’ingresso che si rivela il gioiello. Il Cancello delle Farfalle, inferriata d’accesso di fattura indescrivibile: due farfalle perfette, che sembrano quasi spiccare il volo, intrecciate con vetri colorati e giochi di spazi meravigliosi. Anche le entrate delle due scale sono meritevoli di attenzione, ma questo è forse l’esemplare di lavorazione Liberty più sfavillante della città.
L’architetto Alfredo Campanini aveva già le idee piuttosto chiare, come vedremo più avanti. Qui, nel 1909, tirò su un maestoso palazzo che in facciata presenta una bella commistione di stili: se l’impatto Liberty è evidente nell’impostazione, si possono notare chiare influenze barocche, nei balconi morbidi e curvature. Anche in questo caso, provate ad andare oltre: all’interno potrete godere di un superbo ascensore in ferro battuto.
Lo dice il nome stesso, insomma. Che deriva da un albergo fatto costruire qui nel 1905, l’Hotel Corso, contenete addirittura un teatro amatissimi dai milanesi. Venne seriamente danneggiato dai bombardamenti, tanto da essere condannato alla demolizione: la sua facciata Liberty, però, era rimasta miracolosamente intensa, per cui venne traslata al di sopra dell’ingresso del nuovo edificio, costruito nel 1955, che oggi è il Palazzo della Società Reale Mutua di Assicurazioni.
Dove tutto è nato, il primo esempio di Liberty a Milano (costruzione 1900-1903). Fu voluto dall’ingegnere Ermengildo Castiglioni, nipote di un mercante ricchissimo, che osò così sfidare il conservatorismo dell’epoca. E per farlo chiamo l’architetto Giuseppe Sommaruga, già piuttosto noto, ma destinato a divenire fuoriclasse dopo la realizzazione dell’opera, fragorosa per dimensioni e contenuti artistici già solo in facciata; gli interni, dove il solito Mazzuccotelli ha realizzato la lampada delle libellule, furono occupati dai soldati americani nel ’45, finendo con l’essere distrutti per fare legna da ardere. Oggi è sede della Confcommercio di Milano.
Meraviglioso, bellissimo, quello che volete, ma Palazzo Castiglioni rimane celebre soprattutto per il suo nomignolo: Ca’ di Ciapp, letteralmente Casa delle Chiappe, in dialetto milanese. La realizzazione originaria prevedeva infatti due statue femminili di Ernesto Bazzaro a sostegno del portone d’ingresso, le terga delle quali erano ben in mostra. Sconcerto cittadino, proteste popolari, movimentazioni di timorati e vecchiette: le statue, e le chiappe, furono quindi rimosse, ma potete ancora trovarle intatte e in originale. Dove? Qui in basso.
Sommaruga costruì anche Villa Faccanoni (1911), commissionata dall’ingegnere Giuseppe Faccanoni, che insieme ai fratelli Pietro e Luigi si fece realizzare dallo stesso architetto anche tre sontuose ville a Sernico, sul lago d’Iseo, tutt’oggi presenti e meravigliose. Quando Castiglioni fu costretto a rimuovere le gigantesche statue dal suo Palazzo, Sommaruga decise saggiamente di non farle distruggere, ma le tenne in custodia presso i magazzini Galimberti, la ditta che aveva curato i lavori di costruzione; le riprese nel 1914, e le applicò al di sopra di uno degli ingressi laterali di Villa Faccanoni, dove sono oggi.
La villa è parte di un giardino da circa duemila metri quadrati, e dopo l’acquisto nel 1919 da parte di Nicola Romeo (fondatore dell’Alfa Romeo) è nota come Villa Faccanoni-Romeo: oggi è sede di una clinica privata, strutturalmente elegantissima e silenziosa, la cui rimodernizzazione è stata curata nel 1949 dallo studio di architetti di cui era parte il celebre Gio Ponti.
I fratelli Charles, Emile e Théophile Pathé, nel 1896 fondarono a Vincennes, in Francia, la società cinematografica conosciuta con il loro cognome. Fecero un discreto botto, arrivando ad aprire uffici nelle maggiori nazioni del mondo: non mancarono di arrivare in Italia, dove si stabilirono facendo costruire questo mastodontico edificio come ufficio, per il quale chiamarono uno dei geni più totali. Nel 1910 il progetto venne affidato infatti a Giulio Ulisse Arata, che nello stesso anno avrebbe messo la firma sul leggendario Palazzo Berri Meregalli.
E come per l’altro capolavoro, anche qui fu messo in mostra l’eclettico talento dell’architetto: è una commistione di romanico, rinascimentale, barocco e ovviamente Liberty, con cemento, ferro battuto e mosaici disposti un po’ ovunque. Splendido, e onestamente inquietante, lo stemma della casa cinematografica che ancora riflette di luce sopra l’ingresso. E a proposito di brividi, sul citofono si recitano solo tre voci: Fuoco, Terra, Aria. Inquilini di un certo spessore.
Pur non colma di storie come molte delle cugine coinvolte nella lista, Casa Centenara rimane una facciata di immediata bellezza. I bassorilievi del piano superiore restano intatti e caratteristici, e sono un bel sipario per le inferriate magistrali che arricchiscono i balconi. Fu costruita nel 1907 da Giovanni Battista Bossi, architetto che leggerete oltre come protagonista per uno dei palazzi più iconici del Liberty milanese.
Come anticipato più su, l’architetto Alfredo Campanini se la cantò, se la suonò, se la disegnò e la rese pure la sua residenza nel 1904, un fai da te di raro egocentrismo bilanciato da una altrettanto rara bellezza. Iconiche le due cariatidi leggiadre all’ingresso, scolpite da Michele Vedani, mentre sono tutti da scoprire gli affreschi e i vetri colorati nel piccolo atrio d’ingresso. È presente anche una bellissima serie di rifiniture in ferro battuto: indovinate chi le ha realizzate?
Giacomo Guazzoni, insignito dell’onorificenza di Cavaliere, era un capomastro. Mani da artista, ma teoria da rivedere: chiamò allora Giovanni Battista Bossi, architetto riconosciuto anche oltreconfine come tra i più precisi e capaci, e da lui ottenne un progetto per la sua abitazione. Se la costruì da solo, la finì nel 1906 e da allora è suo il nome associato all’edificio, oggi di proprietà privata (peraltro sotto vincolo monumentale dal 1965).
Cemento avvolgente, poca pittura, ferro battuto reso arte: la ricetta per una facciata che non stanca mai, più semplice di altre, ma di sicuro impatto, arricchita peraltro da quello che si trova al di là: un corpo scale esagonale da far venire le vertigini.
Chiudiamo con quella che è storicamente riconosciuta come la vetrina del Liberty milanese per eccellenza. L’idea dei fratelli Galimberti, due imprenditori edili che nel 1903 a Giovanni Battista Bossi affidarono la loro visione: avevano acquistato il terreno che apparteneva alla Società Anonima Omnibus, che per anni aveva gestito il trasporto pubblico con i cavalli, ormai da pensionare dato il passaggio del Comune di Milano ai tram elettrici.
Pio Pinzauti e Ferdinando Brambilla si occuparono delle pitture, i temi floreali e femminili che sono diventati il simbolo del movimento vero e proprio, lungo i centosettanta metri per i quali corre la costruzione. Semplicemente bellissima, ed entrata ormai nell’immaginario collettivo.
Sarà di certo più ridotta nelle dimensioni, rispetto alle altre metropoli europee cui viene spesso paragonata, eppure Milano non manca davvero di nulla. Per ogni momento della giornata, sia essa stressante o serena, piena o pigra, attesa o maledetta, ci sarà un luogo della città adatto a essere visitato.
Alcuni di questi vanno bene sempre. Tra palazzi storici e angoli di bellezza nascosta, si scorgono infatti dei giardini che sembrano bolle di tranquillità dove potersi rifugiare se tutt’intorno è troppo veloce, ritagliare uno spazio se invece si ricerca solo silenzio. E molti di questi scorci di quiete portano con sé storie inaspettate.
Per gioco, per amore o per interesse personale, ciascuno di noi ha probabilmente provato, almeno una volta nella vita, a coltivare una collezione. La sensazione di portare avanti e custodire una raccolta, che sia monotematica o varia, alimentandola per consegnarla forse ai posteri. E magari sarà durata molto meno di quanto ci saremmo aspettati o avremmo desiderato.
Milano racchiude invece una serie di musei, fondazioni, collezioni private di totale unicità: dalle raccolte di famiglie nobili, agli studi di designer e architetti che hanno tramandato le loro idee e i loro progetti, fino alle pietre miliari della cultura della città o a veri e propri luoghi di riflessione e contemplazione, artistica o introspettiva. Che si tratti di quadri, oggetti o anche solo memorabilia, l’intera città è disseminata di occasioni per conoscere più a fondo animi preziosi. Basta solo trovare la porta giusta.
Passeggiare per le strade di Milano può rivelarsi una straordinaria caccia al tesoro. Fondata dai Romani, del cui Impero d’Occidente fu capitale, divenne poi centro culturale ed economico di un certo rilievo nel periodo Rinascimentale. Con il passare dei secoli, le nuove costruzioni si sono sovrapposte alle antiche, come spesso succede nelle città ricche di storia, senza però per fortuna cancellarle del tutto.
Gli ariosi vialoni, o le strette stradine: ogni arteria di Milano potrebbe riservarvi sorprese di incredibile bellezza, se solo saprete dove andare a cercare. I portoni più anonimi potrebbero essere scrigni di ricchezza impensabili, e chiedere il permesso a un custode potrebbe essere un lasciapassare per un viaggio nel passato. A ridosso di chiese e monasteri, all’interno di abitazioni nobiliari, o semplicemente al centro di condomini privati: i cortili e i chiostri di Milano raccontano di vite trascorse, che ancora oggi fanno sognare.
Lo sfarzo di sale affrescate, l’emozione di cortili e portici ad archi, le storie intrise di leggenda che hanno visto famiglie potenti intrecciarsi con sovrani e popolani. Milano fu centro di estrema importanza nel commercio e nella società fin dal MedioEvo, e regnanti e ricchi non persero tempo a costruirsi palazzi che ne dimostrassero l’importanza.
Scoprite allora un itinerario che vi porterà in giro per gli edifici storici, che in passato furono abitati da stirpi di valorosi, spesso poi caduti in rovina; altri ancora sono ancora di proprietà degli eredi, che con più cognomi e più interessi oggi dedicano i propri spazi privati alla valorizzazione della bellezza e del lavoro degli artisti moderni.
Perdetevi nelle immense sale da ballo, arrampicatevi sugli scaloni d’onore, percorrete i corridoi tappezzati per rivivere le atmosfere di tempi che furono, quando la brama di potere e il desiderio di cultura si fondevano in una sola, affascinante e pericolosa energia. E magari potrete chiedervi come sarebbe stato, se a vivere in quei giorni foste stati voi.
Lacrime, apparizioni, guarigioni: l’appiglio per chi crede e non ha null’altro, il dubbio per chi vuole capire di più, quando da capire c’è forse nulla. Miracoli a Milano si sono visti sin dai tempi della sua fondazione, e nel corso dei secoli le storie si sono moltiplicate.
I protagonisti sono stati dei più disparati: operai zoppi, poveri buoi, parroci con il mal di gola. A volte è un atto di speranza, altre la speranza di un atto. E anche per chi proprio non concepisce la possibilità di avvenimenti superiori, magari è una buona idea far visita in questi luoghi. Non si sa mai che si possa cambiare opinione.
L’Uomo Universale, il genio che dipinse, scolpì, costruì, progettò, sconvolse e vide oltre. Leonardo da Vinci a Milano sostò eccome (1482-1499), in una finestra di vita che gli bastò per realizzare giusto una manciata di opere destinate a segnare la cultura dell’umanità. Ci era arrivato in realtà come messo, inviato da Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, per omaggiare Ludovico il Moro con il suono di una lira progettata da Leonardo stesso (perché sì, era anche un più che discreto musicista). Rimase in quella che allora era una delle più popolose città d’Europa per dodici anni: l’assurdo capolavoro del Cenacolo rimane senza dubbio la traccia più celebre del suo passaggio qui, ma da Vinci ha disseminato per Milano svariati tasselli che contribuiscono a comporre il rompicapo della sua vita.