Albini definiva il suo metodo con cinque trame fondamentali, generalmente applicate a degli oggetti o dei progetti: scomporre, cercare l’essenza, ricomporre, verificare il percorso e trovare una responsabilità sociale. Una sorta di corsa a tappe dove il prodotto finale è importante, certo, ma la crescita e lo sviluppo di chi ci lavora finiscono per esserlo ancora di più; ed è per questo che in Fondazione Albini è stata instaurata una Academy, rivolta a professionisti di discipline interconnesse che vogliano rivedere i propri obiettivi e il proprio lavoro, tramite appunto il metodo (si va dai coach, agli studenti, a una collaborazione con il Politecnico). È una sorta di iniziazione, di allargamento di orizzonti, che hanno reso il lavoro di Albini moderno sempre, anche oggi. Marco Albini indica le nostre spalle: “Quella, la vedi? È del 1938, ci crederesti?”.
Appena dietro di noi (sulla sinistra nella foto in basso), due lastre quadrate di cristallo sono divise da un corpo elettronico centrale, collegato a un altoparlante. È una radio, che potrebbe essere stata tranquillamente progettata ieri per qualche Salone, a Milano: Albini l’aveva realizzata più di ottant’anni fa. “L’identità delle opere di mio padre è cristallizzata nel tempo. Aveva un intuito per i bisogni dell’essere umano (realizzò Piano Regolatore e Metropolitana di Milano, ndr), per l’essenza, così profondo da portarlo a creare opere che non scadranno mai. E non passeranno mai di moda, perché la moda non si rivolge a questi oggetti, sono idee assolute che danno informazioni, resistono e soprattutto sono immediate, comprensibili”. La radio di cristallo è un esempio perfetto della missione sociale di Albini: trasparente, chiara, che non nasconde e anzi comunica tutto, sia del disegno che del designer. Identitaria.