Anno Dieci

Quando girammo il video per il MaG Cafè, che trovate appena in basso e nella pagina dedicata, iniziammo alle cinque del mattino. Era l’unico spicchio di giornata libero, le poche ore in cui il formicaio brulicante del Naviglio riposava, o almeno fingeva di farlo: era in piena coda d’estate, quando a tarda notte c’è da coprirsi, ma appena esce il sole si rimpiange di aver messo il maglioncino e si suda come nemmeno di fronte a un vodka e Red Bull. Emanuele si era pettinato il baffo apposta, si muoveva di fronte alla camera che pareva fosse quello il suo vero lavoro: impeccabile, elegantissimo, di una pazienza vergognosa. Andammo via con la serranda ormai su, i primi assonnati rabdomanti del caffè iniziavano ad arrivare, e facemmo in tempo a scattare una foto strepitosa dell’Alzaia che si illuminava con l’alba (prendemmo anche una multa per ingresso in ZTL, per meri fini di cronaca).

Dieci anni fa era meglio, peggio, chi lo sa. Milano stava finalmente dismettendo gli abiti della città tutta moda e smog, aveva appena depositato la registrazione per l’Expo che l’avrebbe definitivamente fatta esplodere: a noi di venire a vivere a Milano neanche ci aveva sfiorato l’idea. Tutto stava cambiando, tutto rimaneva un po’ com’era sempre stato: il Naviglio Grande non ha mica mai perso i connotati d’altri tempi, come una ruga romantica che sopravvive sul volto da teenager rampante della città. E il MaG, proprio sul corso d’acqua, di questa strana rivoluzione che adesso è diventata adulta è stato uno dei primi centri: il bar e tutto l’ecosistema balordo e meraviglioso che gli ruota attorno, non era forse mai stato considerato come ne ebbero la visione Marco Russo e Flavio Angiolillo, nel 2011. E pensare che la prima avventura che li aveva visti protagonisti, esattamente sulla sponda opposta del canale, tutto questo successo non lo ebbe affatto.

Qui però spaccarono il mercato. L’idea del bar di paese, che apre con il cornetto e chiude con il quarto amaro, fu inondata di un linguaggio che allora stava tirando la testa fuori dal sacco, e che invece oggi è il pane quotidiano della city, che piaccia o meno. Le tazze griffate, la comunicazione social: l’attenzione a un’esperienza che potesse essere vissuta e rilanciata dall’ospite, insieme alle prime intuizioni di miscelazione pop. Lo star bene, prima ancora che bere o mangiare bene: un universo nuovo che arriva tutto da qui, eppure l’anima casinara e ruvida è sempre rimasta intatta. Come per le bettole bohémienne che qui sul Naviglio (r)accoglievano artisti, dandy, buoni poveri e poveri buoni, in dieci anni il MaG è stato il porto di mare (di fiume, in questo caso) tetto per tutti, casa per chiunque. Per alcuni, dal lato delirante del bancone, è stato anche trampolino.

Siamo passati alla serata di compleanno del locale, che ha raccolto otto dei vecchi bartender ad alternarsi in una guest night senza sosta. Era il turno di Bledi Ndoci, oggi a capo di un progetto scrigno di assoluto valore in Val d’Orcia; avrebbe chiuso la serata Andrea Dracos (vincitore della Campari Bartender Competition nel 2015) insieme a Mirko Turconi, che con Chiara Beretta e Erik Viola è oggi il volto della selezione eccellente di Fine Spirits. Nel mezzo si sono dati il cambio Pippo de Martino, Emilio Menduti, Matteo Landi, Yurii Brodesku, Luca Cesaretti. Ognuno di loro ha lasciato il proprio segno nei dieci anni di vita del MaG, e il MaG ha lasciato un po’ della sua identità nelle vite di ciascuno; e come loro, un nutrito numero di bartender che da qui sono partiti per fare carriera. La grandissima forza di Angiolillo e Russo, certificata dalla continua crescita dei loro Iter, Backdoor43, 1930 (25esimo bar migliore al mondo nel 2020) e l’altro MaG La Pusterla, è stata in primis quella di riuscire a costruire una struttura umana che più somigliasse a una famiglia vera e propria, con i conseguenti evidenti pregi, e alcuni occasionali nei (diventare grandi significa fare delle scelte).

Dagli inizi a oggi, è stato un costante surfare l’onda, sempre avanti almeno una spanna rispetto agli altri. Tra i primi a lavorare su grafiche e foto, a spingere sull’arredamento casuale (letteralmente, con oggettistica d’antiquariato o recuperata) che adesso si trova un po’ ovunque; a curare il dettaglio, a fare squadra, a formare professionisti diventati punti di riferimento (la lista è lunghissima e dimenticheremo qualcuno, ma sono passati di lì o ci gravitano attorno Emanuele Cosi, Cosimo Tarducci, Francesco Bonazzi, Camilla Bosatelli, Loris Melis, Fabio Benjamin Cavagna, Carlo Felice Dall’Asta, oltre a quelli che hanno preso strade ormai diverse). Così forte e famoso da risultare a tratti antipatico, anche se poi basta una notte in più sugli sgabelli e passa tutto, di nuovo. È stato particolare vederli tutti lì per una sera, come se una volta esperti tornassero nelle stanze che li avevano accolti da studenti.

Il MaG è stato poi l’ombelico di partenza da cui Angiolillo e Russo hanno sviluppato la dimensione Farmily, il gruppo che oltre ai locali (e al neonato punto bar del Mercato Centrale in stazione) conta oggi anche una distilleria, una linea di prodotti propri e collaborazioni praticamente ovunque nel panorama del beverage, a Milano e non. (Anche) da qui è partita la nuova onda del bere bene in città, parallelamente ai trionfi professionali di chi è o è stato parte del mondo MaG. E che piaccia o meno, dato che quando si arriva in alto si è anche più esposti alle critiche, è questo minuscolo quadrato di legno, lampadine e caos ordinato ad aver fatto da apripista per la caterva di localini che adesso fanno il Naviglio a pois, e in realtà si sono poi estesi un po’ in giro. Si può non condividere l’aura quasi tribale che lo circonda, il mito di un posto che è fucina di idee brillanti ma a volte eccessive (la diatriba per il pop-up di Maurizio Cattelan ve la si è descritta su altre testate), ma sarebbe sbagliato non riconoscere la qualità e la visione si respirano qui.

Mai, non una sola volta, i ragazzi e le ragazze del MaG, dell’intero gruppo in realtà, hanno mancato di sorriderci o parlarci come se fossimo gli amici di sempre, ben prima che facessimo partire il progetto Baround. E non importava di chi si trattasse, se i patron (con Flavio si è addirittura finiti più volte a giocare a carte, ha un culo pazzesco) o i più freschi arrivati per una settimana di prova. È forse questo continuo camminare sul filo vibrante che separa l’ospitalità eccellente dal fare i fenomenil’essere figli di buona mamma che però si fanno un cuore così e in ogni caso permettono a tutti di trascorrere ore rigeneranti, un altro dei segreti di Pulcinella del MaG. I posacenere con messaggino, il Marinaio e il Piccolo Barman, gli ingressi su invito, le ospitate in TV, il nuovo bitter (e se fosse un ottimo prodotto da poter sponsorizzare in modo diverso?): sono il contrappasso naturale, non necessario e non per forza preferito, ma comprensibile e meritato, dopo una decade da primi della fila. Se anche non dovesse piacere, non può esistere un giro di bar a Milano che non contempli il MaG. Per altri dieci anni. 

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Piutost che nient, l’è mej un toast

Non si possono lasciare soli un attimo, che ti scatenano una burrasca per un toast a mezzi e due euro da pagare per il servizio di divisione. “Che poi non è per i due euro eh”; sì invece, è per i due euro. Come è stato per dieci centesimi in più da pagare per un espresso al banco, o per il tot da corrispondere per il taglio della torta che ci si porta da casa, o il diritto di tappo qualora fosse mai capitato loro di usufruire del leggendario BYO (bring your own, molto in voga nei paesi anglosassoni, andare al ristorante con la propria bottiglia di vino e pagare una cifra prestabilita perché gli addetti stappino, servano, forniscano i calici, li lavino e così via). O quanto meno, è prima di tutto per la questione economica, che per il consumatore medio è stretta con il doppio nodo a una mancanza di aderenza alla realtà, quando si parla di ristorazione.

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Odio l’estate

Non è una questione di temperature, folla al mare, spostamenti di ore: quella è roba per i veri squali dell’informazione, quelli che scrivono “spiagge prese d’assalto” e “non uscite nelle ore più calde”. Non è neanche per i terrificanti cocktail estivi che ci vediamo propinare, come quello in foto d’apertura. Io la detesto perché è come se con l’avvicinarsi del pieno della bella stagione, le rughe della vita quotidiana dell’ospitalità diventassero più profonde ed evidenti. L’estate diventa una scusante per qualsiasi problema non risolto, di comportamento approssimativo, di prestazione insufficiente: tanto se ne riparla a settembre, o comunque sai il caldo, insomma siamo quasi in ferie. E figuriamoci se qui si vuole mettere in dubbio le difficoltà che sono ormai sempre più pressanti, per chi decide di mettersi in gioco nel settore dell’accoglienza: ma riconoscerle e affrontarle in modo costruttivo è un conto, sfruttarle come motivazione per non tenere certi livelli è un altro.

Capita molto spesso anche con le nuove aperture: il periodo di rodaggio, abbiamo aperto da poco e ci stiamo ancora assestando, stiamo ancora cercando fornitori (poco diverso da settembre, il caldo, le ferie). È tutto comprensibile, ma alla fine l’ospite paga un prezzo che di questi inconvenienti non tiene conto, non ci sono riduzioni per il periodo iniziale o quello a ridosso delle vacanze. Ed è un bel pararsi il sedere, con tutto il rispetto, considerando il danno che si arreca all’intero sistema: se più locali propongono un prodotto mediocre, quei pochi (sempre meno) che invece lavorano come si deve soffriranno, paradossalmente, perché gli ospiti faranno richieste altrettanto mediocri (dato che il circondario non si preoccupa di fare qualità) o addirittura non entreranno neanche, dato che le precedenti esperienze in zona hanno lasciato a desiderare.

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Influencers

La testata britannica Drinks International, che distribuisce un bellissimo cartaceo oltre alla sterminata fonte di informazioni online, è forse la più rilevante e profonda del settore in questo momento. Per vari motivi, tra l’altro: ci si trovano spunti relativi al mercato, articoli di opinione, contenuti utili a bartender e consumatori. Insomma, un contenitore come non se ne trovano altrove, che ha come unica pecca quella di aver permesso al sottoscritto di collaborare con un paio di articoli.

Tra i vari prodotti che ogni anno Drinks International tira fuori, ci sono due classifiche che nel giro fanno sempre piuttosto rumore. Una è quella relativa ai drink più ordinati al mondo, che prende in considerazione i dati relativi ai bar inclusi nella 50 Best Bars (andare a beccare i dati di tutto il mondo sarebbe impresa durissima ma affascinante, soprattutto per le case produttrici di rimedi epatici). Lungi dall’essere una trovata di marketing, una lista del genere permette in realtà uno spaccato di mercato preziosissimo, perchè comprendere le richieste dei consumatori di una certa fascia permette di lavorare di conseguenza. Per dirne una, il Pornstar Martini (quest’anno al 32esimo posto, in foto sotto) è stato per varie stagioni nella top 5 addirittura: chi ha intercettato quelle preferenze magari adesso lavora di più con lo champagne, con i sour in generale, con i prodotti di un certo colore addirittura. Magari anche no eh, chi ha ordinato/servito un Pornstar Martini negli ultimi mesi alzi la mano. Per il secondo anno in fila, al primo posto c’è il Negroni.

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Un’altra occasione persa

D’accordo, è stata la festa della mamma. Ma nella comunità globale del bar, il 13 maggio si celebra il Word Cocktail Day: la giornata mondiale della miscelazione, per certi versi, che si fa coincidere con la data in cui, nel 1806, il Balance and Columbian Repository di Hudson, New York, pubblicò per la prima volta la definizione del termine cocktail. L’abbiamo tutti imparata a memoria, ma una volta di più di certo non ci fa ammalare: “A stimulating liquor composed of any kind of sugar, water and bitters, vulgarly called a bittered sling” (“Una bevanda alcolica stimolante, composta di qualsiasi tipo di zucchero, acqua e bitter, volgarmente detta bittered sling“).

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Il problema è un altro

Un martedì sera a caso ho lasciato il Dirty verso le dieci e mezza, riavvicinando il mio sgabello di fronte ai genitali stilizzati sul bancone. Ci avevo trascorso neanche un paio d’ore: il tempo comunque di vedere una coppia sulla cinquantina entrare chiedendo di sedere oltre le strisce di plastica che separano le due sale del locale. Sono rimasti al tavolo appena due minuti, prima di andare via: volevano, e non è uno scherzo, mangiare una pizza. Ora io non ho idea di come fossero arrivati a scegliere proprio quest’insegna per la loro Margherita (che sia chiaro è l’unica e sola pizza sacra), ma mi è sembrato un esempio lampante di uno dei più grandi mali che affligge il mondo bar italiano, in questo momento: lo si comunica malissimo, e di conseguenza è poco compreso dal consumatore finale. Che è quello che alla fine, il mondo bar lo tiene in piedi.

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Buoni propositi

Non cambia niente, ma potrebbe cambiare tutto: ci siamo risparmiati i bilanci dell’anno appena trascorso, ma di certo non possiamo esimerci dal guardare a quello che inizia adesso. È il primo lunedì del 2023, vi pareva non vi lasciassi i miei auguri per voi tutti? Anche perché si è conclusa un’annata intensissima, positiva, complicata, e allora perché non sperare un sacco di cose belle per la prossima?